sabato 4 ottobre 2008

LE TRIZZINNICHE

Benché forte e vigorosa, Rosa era totalmente priva di materia cerebrale e di luce propria. Alta quasi due metri, quando si alterava o tirava fuori la grinta sul lavoro, sembrava davvero un bell’uomo attraente – un caso fortuito, oserei dire, poiché calmandosi, la ragazza lasciava trasparire in tutto il suo cinismo una femminilità straziata dalla luce del sole di ogni singolo giorno dei suoi cinquantaquattro anni di vita. Era brutta. Per mento aveva un culo di prosciutto stagionato male e le sue gote erano viola come piante di finocchiona. Non parliamo poi dei suoi occhi che ricordavano due gondole risucchiate da un vortice di corrente marina, a volte, quando sembrava che stessero per sfuggirgli dalle tempie lei, prontamente, con uno sguardo civettuolo, rassicurava i suoi interlocutori carezzandosi i capelli, una vera e propria gabbia a caschetto di cannule in vimini.
In paese la chiamavano Polpot, come il dittatore assassino, per il suo modo di scarnificare con gli occhi le donne di suo gusto quando le passavano davanti. Altri tempi… Ora le femmine può solo guardarle dal vetro della finestra alla sinistra del suo letto – il desiderio è sempre lo stesso, ma non la sua falcata da giovenca – da quel dì in cui una cassa di carne da cinquanta chili le finì addosso facendola finire infilzata dal lembo di acciaio di un nastro trasportatore nel mattatoio in cui era impiegata. Le conseguenze furono molto gravi, un’ernia del disco permanente e una difficile operazione alla schiena. Un evento disgraziato, in qualche modo anticipato da un fatto accaduto due mesi prima, quando nell’atto di lavare col cloro le vasche sporche di sangue finì per inalarne troppo bruciandosi completamente i polmoni. A chiudere il caso clinico, il gran numero di piaghe da decubito e vesciche che ora ricoprono quel corpo, un tempo tanto desiderato dalle gnegne della zona.


(La stanza di Rosa è buia, sforzandosi un poco però si riesce quasi a sentire i rantoli sensuali del suo respiro. Improvvisamente un rumore di chiave nella toppa e uno scricchiolio di porta…un cono di luce palesa il viso di Arielle, la nipote dodicenne di Rosa).

A: “Zia!! Zia!! Ci sei??”
R: “E n’do voj che sto?” – risponde con tono greve – “Se fossi stata in grado di spostarmi pensi che sarei rimasta qui ad ascoltare le tue domande da mentecatta?”
A: (con tono triste) “Ma Zia qui è tutto buio e.. io non ti vedevo.. accendi la luce per favore”
R: “Non se ne parla nemmeno! Le bollette mica le paghi tu, vai a sprecare la corrente elettrica a casa di quella sciacquetta di tua madre!”
A: (scoppia a piangere) “Buuuuuuuuuuuuaaaaaaaaaaaaahhh”
R: “Mentecatta smettila e vieni qui dalla zia , accanto a me!”
A: “Buuuuuuuuuuuuaaaaaaaaaaaaahhh” (non si avvicina)
R: (con tono perentorio) “Vieni qui!!”
A: (balbettando) v v v va bene zia…
R: “Ragazzuola vorrei spiegarti… sai questa vita non mi merita, mi sarei aspettata qualcosa di più di un letto puzzolente e di una nuora stronza… da giovane son stata un’aspirante pittrice, attrice, soldatessa, ballerina, toreador nonché funzionario ministeriale – il caso ha poi voluto che detti ruoli non mi venissero assegnati… ma sempre per un pelo! A 40 anni mi ero rassegnata alla prospettiva di un lavoro sedentario, mi dicevo che se non altro avrei alimentato ulteriormente la già florida produzione di farmaci contro le emorroidi, proprio io che non ne avevo mai avute, nonostante tutto”.
A: “Zia cosa sono le emorroidi?”
R: “Stai zitta! ..ah bieca vita! ..piuttosto prendimi le cozze in frigo e due limoni!”
A: “Ma Zia.. il limone ti fa male.. lo ha detto il dottore”
R: (lo sguardo dolce della Zia incontra gli occhi della nipotina) “Sei un amore.. certo che ricordo cosa ha detto il dottore e capisco la bontà del tuo suggerimento” (improvvisamente il tono si alza e si fa aggressivo) “ma devi cominciare a considerare l’eventualità di farti una vagonata di cazzi tuoi!!!” (il tono torna dolce) “o finirai per fare la fine di quella mentecatta di tua madre…”
A: “Tratti sempre male la mamma.. sigh..”
R: (tono aggressivo) “Imbecille! Cretina! Mentecatta! Me li sbatto i consigli del medico, ho cinquantaquattro anni , mi mancano tre dita alla mano, ho il fianco squartato, sono zoppa, ho le piaghe sul culo, i piedi.. non ne parliamo neanche, la cervicale non mi lascia tregua e tu mi vieni a dire di fare attenzione a non mettere a rischio la mia salute?? Mi stai prendendo per il culo o cosa???”
A: “Ma zia….”
R: “…Ma zia un par di palle! (si scopre e rimane in vista, vestita solo della sottana) “Mi vedi o cosa?” (indica il suo corpo) “Pensi che mi interessi vivere anche un solo giorno di più? Cretina! Come quella vacca di tua madre… la mia Marie sarebbe ancora viva se…”
(improvvisamente un silenzio atroce avvolge la stanza – il volto di Rosa è tirato, la sua espressione è quella di pentimento per le parole appena dette)
R: (con tono dimesso) “Scusami… i miei eccessi verbali a volte mi rendono ridicola ai miei stessi occhi” (la voce torna possente) “Ma per come sto ho tutto il diritto di non aver paura della morte” (indica con le mani il suo corpo) “è questa lunga anticamera che mi mette paura!”
A: “Ma zia.. mi lascerai sola poi.. se muori…”
R: “E allora??? Tu forse eri li a farmi compagnia quando avevo la tua età??”
A: “Ma io non ero nata…”
R: “Ti sembra una risposta sensata da dare a tua zia?? Tu continui a prendermi in giro, pensi che io sia una babbiona rincoglionita… aspetto ancora che tu mi prenda le cozze e i ..due limoni!! Corri che voglio raccontarti qualcosa!”
A: (la ragazzina si avvicina tremando per paura di rovesciare il piatto) “Tieni Zia…”
(agli occhi della fanciulla quella lingua epilettica che sorvolava avidamente sulla superficie del limone per poi affondare con un violento risucchio sul frutto della cozza aveva un che di sensuale…)
R: (una risata sguaiata spezza il momento sensuale) “Ah ah ah ah” (inondando le lenzuola di bava) “Ziuccia bella ti permette di farmi mummificare se il distacco è per te così doloroso.. mi basta che tu esponga la mia salma nella camera da letto di quella mentecatta di tua madre..” (rumori di risucchio)

....un nuovo silenzio invade la stanza.. la voce della nipote che stava chiamandola per accertarsi che stesse bene le suonava sempre più lontana.. al punto da risultare quasi impercettibile. Rosa, chiusa nel suo mondo, non parlava più e tantomeno reagiva ad alcuno stimolo… o così almeno sembrava. Nell’immobilità totale il suo viso sembrava disteso e sereno.. forse era tornata a sognarsi libera di correre tra i campi di giunchiglie, a scovare morbide giovenche dalle pelli profumate, a disegnare geometrie con il palato, a raccogliere papaveri e a rincorrere papere sculettanti… no! Nulla di tutto questo… forse è il caso di guardare alla situazione da tutta un’altra prospettiva...

R: “Morirò a Vaucluse” (pensa Rosa tra sé e sé) “in un giorno di cui già serbo un caro ricordo… saranno giorni di vacche grasse e ditalini clandestini – la folla acclamerà la mia bara al suo passaggio e ne adulerà l’intrinseca sensualità. La mia anima potrà anche morire ma il mio corpo difficilmente verrà dimenticato dalle migliaia di lesbiche a cui ha dato rifugio e ristoro! Anche ora potrei far faville se solo ne avessi voglia, ma credo sia disdicevole per una donna del mio rango rantolare sui tacchi a spillo nel tentativo di celare il dolore all’ernia. Mi accontento della certezza che, nonostante la mia continua necessità di sputare grumi di catarro verdastro e le trascurabili vesciche e piaghe che ricoprono il mio corpo, non esista femmina al mondo capace di resistermi.. blah blah blah blah..”

(la sua voce si fa sempre più lontana)

Rosa continuò con le sue elucubrazioni per ore, forse giorni.. fino a che non sopraggiunse la stanchezza – prima impercettibile, poi talmente violenta da costringerla ad un riposo eterno.

MESSAGGIO PROMOZIONALE